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Violenza di genere, il silenzio che non si vede. Humanitas Mater Domini, centri antiviolenza e Comune di Castellanza insieme per fare rete sul territorio

Nei primi undici mesi di quest’anno, nei centri antiviolenza EVA odv e Icore odv – presenti a Busto Arsizio e nei comuni degli ambiti di Gallarate, Somma Lombardo, Castellanza e Tradate – si sono registrati oltre 350 nuovi accessi – rispetto ai 287 dell’anno precedente, ossia il 23% in più– e più di 220 prese in carico.

Numeri che raccontano solo la punta di un iceberg, un fenomeno in parte sommerso e complesso, riassunto durante la tavola rotonda “Violenza di genere. Il Silenzio che non si vede”, organizzata da Humanitas Mater Domini con il Patrocinio del Comune di Castellanza e la collaborazione dei centri antiviolenza territoriali.

L’incontro si è svolto mercoledì 26 novembre presso la Biblioteca Civica di Castellanza, alla presenza del Sindaca della città, Cristina Borroni. Relatori il dott. Carlo Maino (Resp. Pronto Soccorso di Humanitas Mater Domini), Alessia Marinelli (Infermiera del PS dell’ospedale di Castellanza) e le rappresentanti dei centri antiviolenza (CAV) locali, tra cui la dott.ssa Federica Chighine (psicologa e psicoterapeuta di EVA ODV) e la dott.ssa Stefania Benazzi (coordinatrice del CAV Icore e psicoterapeuta).

Obiettivo della serata quello di sensibilizzare la cittadinanza sul tema della violenza di genere, riconoscerne i segnali, comprendere le dinamiche psicologiche che intrappolano le vittime nel cosiddetto “ciclo della violenza” e far conoscere la rete di supporto attiva sul territorio, che può offrire accoglienza protetta, sostegno psicologico e tutela legale. L’incontro è stato parte del circuito di eventi promossi da Fondazione Onda, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Un fenomeno strutturale, non un’emergenza

Radicato nella società, non improvviso e che richiede soluzioni a lungo termine. Sono queste le caratteristiche che fanno di un problema un “fenomeno strutturale”, come quello della violenza di genere, che ha un costrutto sistematico, culturale e ben definito, come ha raccontato la dott.ssa Chighine, durante il suo intervento dedicato alle tipologie e dinamiche della violenza. 

 “Bisogna aver ben chiare, prima di tutto, le forme che può assumere questo fenomeno, che non è solo fisico, con percosse e lesioni, ma che spesso si manifesta in modo più sottile e difficile da individuare, come la violenza psicologica, economica o quella assistita dai minori”, racconta la dott.ssa Chighine, che ha poi dedicato un momento di approfondimento alle diverse fasi di questo circolo vizioso: “dalla crescita della tensione alla fase del maltrattamento vero e proprio fino alla cosiddetta luna di miele, la fase più subdola, in cui l’aggressore mostra pentimento e gesti affettuosi, rafforzando la dipendenza emotiva della vittima e rendendo più difficile chiedere aiuto”. 

Violenza di genere, i dati dalla Provincia di Varese

Un fenomeno e un circolo, quello della violenza di genere, che però non conosce confini geografici, sociali o demografici. È questo quello che emerge dai dati condivisi da Icore ODV ed EVA ODV, che hanno visto 354 nuovi accessi e 222 prese in carico in questi undici mesi del 2025, un numero in ascesa rispetto ai 287 accessi del 2024. A dare una lettura ancora più chiara, sono il dettaglio dei dati di EVA ODV (210 accessi e 120 prese in carico a novembre del 2025): le persone che si sono rivolte ai loro servizi del territorio (Busto Arsizio e nei comuni degli ambiti di Somma Lombardo e Gallarate) presentano un profilo estremamente eterogeneo. La maggior parte è di nazionalità italiana (144), ma è significativa anche la presenza di vittime provenienti da Africa (20), America Latina (18), Europa (11) e Asia (5). L’età è molto variabile: la persona più giovane è nata nel 2011, la più anziana nel 1946, con 18 minorenni e under 20, un dato in aumento e spesso legato a relazioni tra pari con dinamiche disfunzionali.

Il livello di istruzione delle vittime risulta mediamente alto: 84 donne hanno un diploma, 26 una laurea e 45 la licenza media, confermando che la violenza riguarda trasversalmente ogni classe sociale. Sul piano occupazionale, 102 persone sono occupate, 64 disoccupate, 7 studentesse e 8 pensionate.

Per quanto riguarda la situazione familiare, 133 donne hanno figli, mentre 51 non ne hanno.

Quando la vittima arriva in Pronto Soccorso

Complessivamente, il quadro mostra una popolazione investita dal fenomeno che varia per età, provenienza e condizione socio-economica, ma accomunata dalla necessità di percorsi di protezione e sostegno strutturato.

“Basti pensare che, nei primi 11 mesi di quest’anno, al Pronto Soccorso di Humanitas Mater Domini si sono presentate circa 20 persone vittime di violenza”, ha raccontato il dott. Carlo Maino, responsabile del Pronto Soccorso, insieme ad Alessia Marinelli, infermiera dell’Istituto che, durante l’incontro, hanno approfondito le dinamiche della presa in carico di chi si reca in ospedale ed è vittima di violenza.

“Fin dal triage, i nostri medici, infermieri e OSS sono formati per valutare gli aspetti fisici e psicologici che possono rappresentare dei campanelli d’allarme. Appena ci rendiamo conto di essere di fronte a un caso di violenza, che può essere esplicitato o meno, viene attivato un protocollo dedicato e la persona viene fin da subito protetta, accompagnandola in un luogo dove, nella totale privacy e senza pressioni esterne, può ricevere un accudimento particolare. È proprio in questo frangente che si attiva la collaborazione con i CAV locali che, 7 giorni su 7, 24 ore su 24, sono a disposizione delle pazienti e dei pazienti per un primo confronto telefonico”, spiega il dott. Maino.

“Non solo una presa in carico fisica. In quei momenti il maggior compito di noi sanitari è anche di accogliere la persona con estrema umanità, prestando attenzione alla sfera psicologica e valutando quella che può essere l’escalation da parte dell’aggressore se la vittima torna al proprio domicilio”, approfondisce Marinelli. “Nel caso l’indice di escalation fosse alto, viene attivato il rifugio nelle case antiviolenza o, in caso di mancanza di posti, un ricovero in protezione in ospedale, rigorosamente sotto identità nascosta”.

Il CAV e la rete territoriale come strumento di fuoriuscita e protezione

In questo contesto, ancor di più in presenza di minori, il ruolo dei centri antiviolenza è essenziale. Il loro compito è mettere al centro la vittima e i suoi bisogni, accompagnandola nel percorso di fuoriuscita dalla violenza e, insieme alle Forze dell’Ordine, garantire la sua protezione.

“È importante ricordare che il “lavoro” più grande lo compiono proprio le donne che subiscono violenza: riconoscere il circolo in cui sono intrappolate e trovare in sé la forza di chiedere aiuto è un passo enorme. Noi, come centri di contrasto alla violenza, siamo al loro fianco fin dal primo giorno, attraverso i colloqui tenuti dalle operatrici di accoglienza, molte delle quali sono volontarie, garantendo supporto psicologico e tutela legale gratuiti.

Quando invece ci troviamo di fronte a situazioni di grave rischio, attiviamo immediatamente le case rifugio, luoghi sicuri e anonimi dove la vittima non può essere rintracciata e può ricevere protezione e un sostegno adeguato, attorno al quale costruiamo una rete di supporto in cui coinvolgiamo i servizi territoriali”, spiega la dott.ssa Benazzi che, a chi chiede come comportarsi e approcciare conoscenti vittime di violenza, consiglia “state loro accanto senza giudicare, evitando frasi fatte o pressioni. L’accompagnamento più prezioso è quello che aiuta, passo dopo passo, a prendere consapevolezza. Uscire da queste dinamiche è prima di tutto una scelta personale: la persona coinvolta deve sentirsi pronta e convinta del percorso che sta per intraprendere.”

Non solo rete, ma anche cambiamento culturale per contrastare la violenza

Dalla prevenzione all’intervento, dalla denuncia al sostegno psicologico: il lavoro di rete tra ospedale, servizi sociali, forze dell’ordine e associazioni antiviolenza è fondamentale per costruire percorsi di fuoriuscita efficaci e sicuri.

“La rete, però, non basta. Non bastano proclamazioni né repressione o leggi, per quanto necessarie. Serve un cambiamento culturale profondo e radicale. La violenza nasce da una cultura che vede l’altro come minaccia anziché risorsa. Dobbiamo cambiare prospettiva, riconoscendo nell’altro una persona con pari dignità e diritti. Questo cambiamento parte dall’impegno di tutti, dalle parole e dal linguaggio quotidiano. Le parole costruiscono o distruggono, includono o escludono. La sfida è collettiva e richiede rete, ascolto e la volontà di costruire un futuro diverso attraverso un sostanziale cambio di paradigma culturale” , conclude il Sindaca della Città, Cristina Borroni.

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